Still Life

Sala 1

Lunedì, 12 Gennaio 2015

Struggente racconto sulla vita, l'amore e il 'post mortem'. Meticoloso e organizzato fino all'ossessione, John May è un impiegato del Comune incaricato di trovare il parente più prossimo di coloro che sono morti in solitudine. Quando il suo reparto viene ridimensionato, John concentra i suoi sforzi sul suo ultimo caso. Inizierà così un viaggio liberatorio che gli permetterà di iniziare a vivere, finalmente, la sua vita...

 

Scheda

Regia: Uberto Pasolini
Paese: Gran Bretagna
Anno: 2013
Durata: 87 min
Interpreti: Eddie Marsan, Joanne Froggatt, Karen Drury, Andrew Buchan, Neil D'Souza, David Show Parker, Michael Elkin, Ciaran McIntyre

Trama

John May è un funzionario del comune di Londra a cui spetta un compito delicato: rintracciare i parenti più vicini di persone morte in solitudine. La sua devozione al lavoro è irreprensibile: porta a termine ogni incarico ricercando e ricostruendo con perizia la loro storia attraverso qualsiasi dettaglio. Ma la crisi economica non guarda in faccia neanche la morte, e gli spietati tagli al personale cadono ovviamente su un lavoro considerato ormai inutile e superato (“tanto un morto è morto” dice il suo capufficio). Il licenziamento sarà l'occasione per stravolgere la sua vita e scoprire che può essere ben più complessa per quanto riguarda le abitudini, le emozioni e soprattutto i rapporti.

Critica

Leggendo un articolo sulla vita reale di questi funzionari, il regista si è interrogato sulla scomparsa del concetto di vicinato, sulla disgregazione del nucleo familiare, l’isolamento e la solitudine: «in realtà è un inno alla vita, alla necessità di far parte della quotidianità degli altri e di permettere agli altri di fare altrettanto. E poi è un film sul bisogno di solidarietà di cui soffre la nostra società». Educato e compassato, nel segno di un understatement tutto brittanico, il protagonista tenta si restituire una parvenza di dignità e di affetto a chi è trapassato senza che nemmeno i vicini se ne accorgessero, nella convinzione che ogni defunto meriti parole di nostalgia; un oggetto, una foto, un animale gli sono sufficienti per elaborare un piccolo elogio funebre che leggerà al cospetto di un funerale deserto. Pasolini lavora in sottrazione, con una messa in scena minimale e trattenuta quanto i sentimenti del suo protagonista, al resto ci pensa Eddie Marsan, eterno caratterista, sempre maiuscolo in ruoli minori, che qui regala al suo piccolissimo uomo un’interpretazione gigantesca. Nei panni di un personaggio che parla poco e non alza mai la voce, ogni sopracciglio sollevato, ogni labbro contratto diventano precisa punteggiatura di un discorso silente e disegnano un paesaggio interiore sterminato. Delò resto il regista stesso dice di essersi ispirato a Ozu e alla sua incredibile capacità di raccontare emozioni forti pur usando un registo sottotono.

Favola nerissima che passeggia lieve a braccetto con la morte, "Still Life" è un’amara riflessione sul posto che occupiamo nel mondo e su quello che occuperemo sotto terra.

Premi e Festival

Premio Orizzonti per la Regia al Festival di Venezia 2013 

Rubrica

Pasolini, nipote di Visconti, ha alle spalle 30 anni di carriera come produttore (Con la testa tra le stelle, I vestiti nuovi dell'imperatore, Bel ami, Full Monty). Ha esordito poi alla regia con Machan - la vera storia di una falsa squadra (premio Label Europa Cinemas alle Giornate degli Autori, Venezia 65).

Ottimo il lavoro di desaturazione del colore per il percorso del protagonista ottenuto dal direttore della fotografia Stefano Falivene (che ha lavorato con Amos Gitai, Abel Ferrara, Wes Anderson e altri) e la colonna sonora di Rachel Portman (ex moglie del regista)

In occasione dell'incontro con la stampa gli è stato consegnato il Premio Pasinetti dal sindacato del giornalisti italiani, deciso e annunciato al Festival di Venezia ma non ancora materialmente consegnato. Il premio del sindacato da anni si orienta sul cinema italiano e sui suoi autori - anche se questo film non è di produzione italiana. Riportiamo l'intervista:

Che significa Still Life, è un titolo multisemantico? 'Still life' vuole dire tante cose: 'vita ferma', quindi still nel senso che non si muove, come la vita del protagonista che non si muove all'inizio del film. Ma vuol dire anche 'ancora una vita', perchè tutte le vite devono essere vissute. Ma anche 'una vita di immagini', still come fotografia. Per me il significato più importante è 'ancora vita'. In inglese 'still life' vuol dire anche 'natura morta'. Per me è film sulla vita, non sulla morte.
Esiste davvero questo mestiere? Certo, esiste. Il problema di cosa fare con le persone morte da sole è un problema igienico. In Inghilterra, ogni comune di Londra ha una persona così che si occupa di rintracciare le famiglie delle persone morte da sole. In caso di fallimento il comune si occupa delle esequie.
Come sei arrivato a questa storia? Ho letto un'intervista ad una persona che faceva questo lavoro, ho cominciato la ricerca, prima ho visto la persona intervistata poi ho seguito il lavoro fatto in due comuni grandi e poveri al sud del Tamigi. L'ho seguito per 6 mesi, ho fatto visite alle case di queste persone e ho presenziato a funerali e cremazioni. A volte ero l'unica persone perché lo stesso ufficio non sempre ha tempo di presenziare. In questi casi eravamo io, il morto e il celebrante a ricordare la vita di una persona che non conoscevo. Quello che vedete è molto poco inventato, alcune storie le ho viste davvero. Ad esempio la prima casa che ho visitato è stata quella di una ragazza che ha vissuto una vita normale fino a 25 anni, poi ha condiviso la vita solo con un gatto. Anche le cartoline e le fotografie erano vere, ho bisogno di rubare dalla vita di tutti i giorni.
Il personaggio principale rispecchia le persona che hai conosciuto? In questo anno di ricerche ho conosciuto una trentina di persone che fanno questo mestiere, alcuni lo vivono in modo burocratico, altri con un grande sentimento del valore umano e quindi dedicano più tempo al ricordo di queste persone. Posso dire che il mio personaggio è un sommario di due o tre persone che ho conosciuto. La sua personalità di solitario e ossessivo è la mia, mentre il modo in cui affronta il lavoro è come lo affrontano alcuni che incontrato: vogliono ricordare l'ultimo momento della vita di queste persone dimenticate, almeno quel momento. Poi sono spesso tombe comuni e cremazioni con ceneri mischiate. Comunque dimenticate, rimangono solo dei codici negli albi.
Nelle ricerche, come funziona il rapporto con i conoscenti che non sempre ritrovano? Sono disponibili? Secondo i dati il 70% delle volte non si trovano familiari. Del restante 30%, il 70% dei familiari non vogliono saperne. Quindi in sostanza solo un 10% ha risposta e quindi poi presenza al funerale - solo presenziare, non devono per forza pagare.
Cosa ti ha spinto a girare questo film? Da un po' di tempo il cinema per me è più una scusa di ricerca di realtà sociali diverse dalla mia. Io sono cresciuto da privilegiato, non trovo di nessun interesse il mio background forse perchè lo conosco bene. Facevo il banchiere, poi un po' per curiosità, un po' per inseguire una vita più interessante ho cambiato - questo negli ultimi 30 anni. Il processo di ricerca che anticipa la sceneggiatura è un’opportunità per scoprire realtà sociali sconosciute e aliene, Full Monty era un film tristissimo anche se poi si ricorda la scena dello spogliarello. Machan è stato un modo per capire perché la gente lascia propria famiglia, gli amici, la propria cultura per viaggi spesso tragici per arrivare nell’occidente con le sue false promesse. Non è che da un giorno all'altro mi ha interessato l'immigrazione ma è successo che una volta ho letto un articolo sull’argomento e questo punto mi ha dato la curiosità. Anche nel caso di Still Life ho letto un articolo, sono rimasto colpito dall’immagine di un funerale senza nessuno presente. Non so se vi chiedete mai 'chi verrà al mio funerale?', è una cosa che colpisce. Diciamo che la vera curiosità era la realtà sociale dell'isolamento che sta diventando sempre più prevalente anche tra i giovani nelle grandi città. Prima tante generazioni vivevano insieme, e in più oggi il senso del vicinato si sta perdendo. Io stesso prima del film non conoscevo i miei vicini, un piccolo risultato del film è che ora li conosco. Un po' mi ha cambiato la vita. Molti giovani - che magari prima non avevano una vita sociale complessa ma almeno uscivano - oggi hanno amicizie virtuali che non hanno un vero valore. La vera amicizia è quando non puoi decidere 'adesso chiudo', devi essere costretto a compromettenti, non devi decidere tutto tu, i ritmi, ecc. Il film è cominciato come ricerca, tentativo di capire cosa vuol dire isolamento nella società occidentale contemporanea. E’ stata anche un’opportunità di passaggio dalla ricerca sociale a una storia più personale: negli ultimi anni ho divorziato anche se continuo a lavorare insieme a mia moglie perchè fa le musiche dei miei film, quindi ho una vita comunque molto unita alla mia famiglia da cui sono separato. Però ci sono delle serate in cui torno a casa ed entro in una casa buia, vuota, senza presenza umana. Questo mi ha colpito perchè ero abituato a trovare mia moglie e le mie figlie. Il film è stata quindi anche una scusa per un’analisi personale di cosa vuol dire essere solo. Se per me era difficile tornare a casa e stare solo, cosa vuol dire per chi vive così in modo costante, tutti i giorni della vita senza scambiare parole con nessuno? Come si vive una vita così? Ricerca sociale e viaggio personale.
Come hai scelto il protagonista? È un film a toni bassissimi, 'sotto volume' in senso letterale e metaforico – ciò è costante miei film. Spesso mi parla di più il cinema a toni bassi. Qui c'è poca musica, arriva tardi, il lavoro della macchina è limitatissimo, molte inquadrature sono simmetriche, il colore all’inizio è quasi bianco e nero poi gradualmente c’è saturazione seguendo l’apertura delle esperienze di vita del personaggio principale. In quanto al sottotono, la parte più importante sta nella recitazione. Avevo già lavorato con Eddie Marsan ne I vestiti nuovi dell'imperatore, un film su un’immaginata avventura finale di Napoleone che fuggiva da Sant’Elena per andare a Parigi facendo il venditore di meloni. Lì Joanne era il valletto, aveva sei battute in sole tre scene e in queste era riuscito a dare complessità al suo personaggio e dava qualità umana all'imperatore che sennò non l'avrebbe avuta. Era affascinante vederlo lavorare. Quando mi è venuta l’idea del film ho immediatamente pensato a lui. È un attore che dà enormemente facendo pochissimo, almeno sembra. E’ una recitazione contenuta ma molto forte emotivamente. Lui è conosciuto per ruoli più drammatici e violenti, sopra le righe, però sapevo che ha la generosità di capire il personaggio e dimenticare i suoi ruoli soliti, si dedica al personaggio con sottigliezza, talento e sensibilità.
C’è qualche regista a cui ti sei ispirato? Ho guardato i film di Ozu nella fase di preparazione del film, mi piace molto per la capacità di colpire lo spettatore mantenendo il volume basso. Mi piace il fatto che spesso lascia la macchina immobile e racconta storie di tutti i giorni. I suoi film sono pacati ma fortissimi. Io non pretendo di essere neanche ispirato a lui, lui è su un altro pianeta, ma mi ha dato la speranza di colpire lo spettatore con una grammatica a volume basso. È facile colpire lo spettatore con una grammatica forte però è possibile che più è violenta e più è aliena dalla nostra vita, quindi si rimane colpiti in sala e poi si dimentica. Invece la vita di tutti i giorni è sottotono, con volume basso c'è chi si disinteressa ma c'è anche chi fa più attenzione e allora così si entra nel subconscio, è una presenza più duratura.
Uno dei temi dei tuoi film è la 'vita migliore'. Quanto sei influenzato da questo elemento, questa pietas che rimanda a Foscolo e a Six feet under? Nel personaggio principale c'è pietas verso il prossimo ma non verso di sé; la mia pietas invece è rivolta proprio a lui, vorrei dargli una vita completa. Lui non è conscio di fare una vita limitata, invece via via scopre una vita più complessa - dai sapori ai sentimenti. Ritengo che la vita in contatto con gli altri sia più soddisfacente dal punto di vista personale, ma non vuol dire che abbia un valore maggiore, ci sono stati grandi uomini che hanno fatto grandi scoperte vivendo in isolamento. È un percorso di apertura, di scoperta, di piccoli passi.
Pensi che questi personaggi dimenticati rispecchino la società? Il valore di una società si vede da come questa tratta gli individui più deboli, il più debole per eccellenza è il morto che non può esprimersi. In Inghilterra il governo vuole ridurre la presenza dello Stato nell’economia e colpisce quelli più facili da colpire, i più deboli. Per esempio, la questione dei pasti caldi: in tutti i comuni gestiti dal partito conservatore è crollato il numero di chi se ne serve perchè hanno alzato il prezzo. Quelle persone adesso non hanno più nè il pasto caldo nè il contatto umano, magari con le persone che lo consegnavano. Il debole ora in Inghilterra è abbandonato a se stesso.
E questo finale inaspettato, per niente classico? Lo spunto visivo per me era una tomba dimenticata, una sepoltura sola. La tematica del film, che è l'isolamento e la solitudine, sarebbe stata tradita da un finale classico. Volevo che la fine rispettasse il soggetto del film. La sceneggiatura è cominciata proprio dalla fine, sapevo come doveva finire . Lo trovo corretto dal punto tematico e drammatico. Non mi sentivo di finirlo in modo diverso, era la fine più giusta.
Come mai Rai Cinema ha scelto di investire sul film? Cecilia Valmarana: All'inizio questo progetto ci aveva un po’ spaventato, poi abbiamo approfondito e apprezzato. La prima volta che ne abbiamo parlato con Uberto era al Mercato delle idee a Londra, lui raccontava il film ai vari produttori e ogni volta ci spuntava una lacrima. Fa sempre film intelligenti, necessari. Il film è stato venduto in tanti paesi, in Europa e in America, e ha raccolto premi in tanti festival, siamo soddisfatti.