Il venditore di medicine

Sala 1

Lunedì, 16 Marzo 2015

Bruno è un informatore medico. La sua azienda, la Zafer, sta vivendo un momento difficile e pur di non perdere il suo posto di lavoro è disposto a corrompere medici, ingannare colleghi, tradire la fiducia delle persone care. Apparentemente mostruoso non é altro che il risultato della società corrotta che lo circonda.

 

Scheda

Regia: Antonio Morabito
Paese: Svizzera, Italia
Anno: 2014
Durata: 105 min
Interpreti: Claudio Santamaria, Isabella Ferrari, Marco Travaglio, Evita Ciri, Roberto De Francesco, Ignazio Oliva, Giorgio Gobbi, Vincenzo Tanassi

Trama

Bruno (Claudio Santamaria) è arrivato alle porte dei quarant'anni e lavora come informatore medico in un'azienda che sta attraversando un periodo di crisi. Di fronte alla previsione di alcuni tagli al personale, ogni venditore di medicine viene tenuto sotto stretta osservazione da un rigido capo area (Isabella Ferrari) per decidere chi di loro continuerà a conservare il posto di lavoro e chi no. Con una famiglia e una posizione da mantenere, Bruno non esita ad agire in maniera disonesta e tradire la fiducia di chi lo circonda, ricorrendo all'inganno e alla corruzione. L'incontro con un vecchio amico, ridotto in pessime condizioni per aver fatto volontariamente da cavia ad alcuni esperimenti farmaceutici, gli darà però la possibilità di riscattarsi.

Critica

Antonio Morabito svicola dal film-inchiesta e sceglie la strada poco battuta del dramma. Nervoso, claustrofobico, nero. A doppia corsia. La vicenda personale e lo scandalo globale seguono la curva discendente verso un inferno senza scampo, stagliandosi su un panorama urbano che smarrisce ogni connotazione geografica e ci cala nel labirintico abisso di una città-macchina a misura d’uomo-pedina. La dissoluzione del protagonista sfocia in orrori domestici da far accapponare la pelle, il thriller privato viaggia a doppia velocità rispetto al contesto in uno straniamento progressivo, programmatico eppure tesissimo e persino atroce.

Se c'è un modo o una chiave per scardinare il solito già visto nel raccontare al cinema gli scandali dell'Italia di oggi, questo film sembra aver trovato una strada personale e molto controcorrente. E' un bene che il direttore Muller abbia deciso di dargli una possibilità al Festival di Roma seppur 'Fuori Concorso', perché in giro di pellicole (italiane) così coraggiose non se ne vedono. L'intensità del suo stile inoltre permette al film di distinguersi da altre opere similari spesso adagiate su scelte estetiche inconsistenti. La macchina da presa è sempre attenta ad ogni sussulto, scarnifica l'immagine fino ad arrivare al nervo, non molla mai la strada maestra, ci sbatte in faccia i meccanismi di un sistema che non vediamo ma che spesso sappiamo di subire a nostra insaputa.

Premi e Festival

Nomination come Miglior soggetto ai Nastri d'Argento 2014. 

Rubrica

Incontro col produttore, il regista Antonio Morabito, gli attori Claudio Santamaria e Isabella Ferrari e il giornalista Marco Travaglio.

Da cosa siete partiti per realizzare un film come questo?
Amedeo Pagani: Abbiamo avuto la fortuna di poter trarre le informazioni necessarie da una fonte diretta, cioè un vero informatore al servizio di case farmaceutiche che ci ha aiutato a ricostruire in maniera credibile l’ambiente e le dinamiche di quel mondo corrotto.
Antonio Morabito: Sono partito da una vicenda personale, ovvero la malattia di mio padre, che mi ha portato a contatto con informatori di varie case farmaceutiche. Tuttavia non volevo semplicemente inserire in un film le mie vicende personali; sono state uno stimolo ad interessarmi a una tematica. Ci tengo a precisare che il film non è un inchiesta, la tematica trattata è stata adattata a una sceneggiatura drammatica. Volevamo evitare di trasformare Il venditore di medicine in una fredda inchiesta, e al tempo stesso non volevamo “pietismi”; quindi ho scelto di adottare un approccio diretto e secco.

La tematica trattata nel film è a dir poco spinosa. Vi aspettate boicottaggi o censure di qualche tipo?
Antonio Morabito: Sinceramente non so come sarà accolto il film. Tuttavia già dalle fasi di lavorazione abbiamo subìto costanti proteste da medici, ospedali e case farmaceutiche. Dopo una delle prime conferenza stampa, è stata revocata la disponibilità a girare alcune scene presso l’Oncologico di Bari, uno degli ospedali con cui erano stati presi accordi. Pochi giorni dopo due medici associati allo stesso ospedale hanno dato forfait, togliendoci la possibilità di girare nei loro studi privati. Ancora, dopo il festival di Roma, la Federazione dell’Ordine dei Medici (FNOMCEO) ha preso le distanze dal nostro film.

Claudio Santamaria e Isabella Ferrari, che ne pensate dei vostri personaggi e del film in generale?
Claudio Santamaria: Nel film non ci si sofferma sui “piani alti”, ma si guarda più alle ultime ruote del carro, a quelle persone comuni che sono la base di un meccanismo malato e corrotto. Il mio personaggio è una vittima incastrata in questo meccanismo, un uomo che arriva a perdere tutto per inseguire il successo.
Isabella Ferrari: Il mio personaggio è quello di una donna costretta dai superiori a comandare istericamente nei confronti dei suoi sottoposti, senza farsi alcuno scrupolo per salvare il posto. Infatti oltre a quello delle case farmaceutiche, nel film c’è anche il tema dell’alienazione prodotta dal lavoro e dal mondo di oggi, viziato da una competizione senza esclusione di colpi.

Marco Travaglio, come sei stato coinvolto nel film?
Marco Travaglio: Stavo facendo uno spettacolo a Firenze e Antonio mi ha fatto la proposta, quasi per scherzo. Poi ci siamo ritrovati a Roma presso la sede del Fatto Quotidiano e abbiamo deciso di fare sul serio. Ovviamente non mi ritengo un buon attore, ma se la mia presenza può contribuire in qualsiasi modo a far parlare di una tematica-tabù come quella affrontata nel film, allora va bene.

La terminologia usata nel film dagli informatori farmaceutici nei confronti dei medici corrisponde alla realtà?
Antonio Morabito: Assolutamente si. In base alle informazioni che siamo riusciti a reperire, nel gergo degli informatori farmaceutici ogni medico ha un nomignolo in base alla quantità e al valore dei farmaci che può piazzare sul mercato. Si parla di penne, regine, squali e così via. Questo ci da idea di quanto oggi, non sempre per fortuna, la figura del medico abbia perso i suoi contenuti etici. Il medico di oggi è più simile a un venditore, pronto a propinare farmaci inutili, o peggio dannosi, solo per un ritorno economico.

Il film non è solo un' opera di denuncia ma anche il ritratto di una disperazione...
Antonio Morabito: Assolutamente. Stiamo parlando di una persona che, in questo sistema corrotto, è sia vittima che carnefice, rimanendo vittima di questo ingranaggio. Volevo far vedere che il problema della corruzione farmaceutica non è solo legato al terzo mondo, a terre lontane, ma è vicinissimo a noi. Parliamo dei nostri medici di fiducia, dei dottori di famiglia. Tutti siamo coinvolti.

Da dove nasce l'esigenza di questo racconto?
Antonio Morabito: Nasce da un'esigenza personale. Anni fa, mio padre è stato colpito da una malattia rarissima e io mi sono messo alla ricerca di una medicina che l'Fda non permetteva di commerciare. Io vengo da una famiglia di generazioni di medici, a casa nostra la malattia vista in modo ragionevole, quasi etico. Di fronte a quest situazione ho provato a interessarmi a diversi aspetti come la creazione di un farmaco. Mi si è aperto un mondo. La corruzione non è materia di poche mele marce ma di un intero sistema.

Claudio,tu hai a che fare con un personaggio particolare...
Claudio Santamaria: Si, il film è visto attraverso gli occhi di Bruno, l'ultima ruota del carro. Il mio ruolo non è solo il simbolo della categoria "informatore sanitario" ma di un'intera classe di uomini rampanti con la valigetta, disposti a tutto per il successo. Il film funziona proprio perché Bruno è sia carnefice che vittima, costretto a drogarsi per mantenere ritmi altissime e a distruggere tutto ciò che ama.

Dato l'argomento scomodo, avete avuto ostacoli durante le riprese?
Antonio Morabito: Non sono mancate lettere piene di insulti, anche molto creativi. Informatori e medici si sono detti indignati, affermando che noi li stessimo trattando come capri espiatori. E' interessante sapere che durante la conferenza stampa di Bari, il direttore sanitario dell'ospedale che avevamo scelto come set ci ha revocato il permesso all'ultimo minuto. Anche tre medici ci hanno negato all'improvviso la possibilità di girare nei loro studi privati. Abbiamo scoperto che questi dottori lavorano alle dipendenza di quel direttore, ma questa sicuramente è una coincidenza.

Ma questa situazione di comparaggio non è forse anacronistica? E' ancora così il rapporto medico di base-rappresentante?
Antonio Morabito: E' una situazione attualissima. Quello dell'anacronismo è il cavallo di battaglia delle associazioni di settore, ma ancora adesso assistiamo a episodi, non rari, di corruzione, regali, ricette finte, farmaci buttati, pazienti immaginari e molto altro. Se non ci credete vi faccio vedere i dati. E' vero che negli anni novanta era una giungla, ma anche siamo ancora. Il terrorismo psicologico fatto sull'uso del generico è l'esempio di come le associazioni tengono a mantenere questo status quo.

Nei giorni scorsi, qui al Festival, Jerad Leto ha elogiato la sanità italiana. Ti sorprende?
Antonio Morabito: No, perchè la nostra sanità ha un potenziale immenso, con un sistema prevvidenziale unico in europa. E' proprio vederlo in questo stato che fa arrabbiare.

Una battuta sul caso-Stamina. Cosa ne pensa?
Antonio Morabito: Sinceramente non riesco proprio a capire perchè lo Stato voglia fermare la ricerca.

Quanto ti sei auto-censurato durante la scrittura del film?
Antonio Morabito: Siamo venuti a conoscenza di moltissimi casi assurdi. Il produttore, infatti, voleva esagerare e metterli tutti. Io ho pensato fosse narrativamente più efficace rimanere sul personaggio e sulla sua tragedia personale. Io ho amato molto The Constant gardener. Il film mostra una situazione al limite di una realtà lontana come l'Africa. Io, come ho detto, volevo mostrare la situazione di casa nostra, del nostro fidato dottore di famiglia. Questo risultato poteva essere ottenuto solo stando appiccicato come un'ombra al personaggio di Bruno. Questo ha portato a fare delle scelte precise.

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