Il segreto del suo volto

Sala 1 Giorno della memoria

Lunedì, 25 Gennaio 2016

Sopravvissuta ai campi di concentramento ma con il volto gravemente sfigurato, Nelly Lenz, dopo un intervento di ricostruzione facciale, si mette alla ricerca del marito Johnny. Quando lo ritrova, deve però confrontarsi con un'amara verità: l'uomo non la riconosce più ma, data la somiglianza con la moglie, le propone di spacciarsi per lei e rivendicarne l'eredità.

 

Scheda

Regia: Christian Petzold
Paese: Germania
Anno: 2014
Durata: 98 min
Interpreti: Nina Hoss, Ronald Zehrfeld, Nina Kunzendorf, Uwe Preuss, Michael Maertens, Imogen Kogge, Nikola Kastner, Valerie Koch, Eva Bay

Trama

Sopravvissuta ai campi di concentramento ma con il volto gravemente sfigurato, Nelly Lenz (Nina Hoss), dopo un intervento di ricostruzione facciale, si mette alla ricerca del marito Johnny. Quando lo ritrova, deve però confrontarsi con un'amara verità: l'uomo non la riconosce più ma, considerando la grande somiglianza che ha con la moglie che crede defunta, le propone di spacciarsi per lei e rivendicarne la cospicua eredità. Nelly diventerà così il suo stesso alter ego, con la speranza di scoprire i veri sentimenti o i tradimenti del consorte. 

Critica

A due anni da La scelta di Barbara, Christian Petzold, paladino della Scuola di Berlino, torna a girare un film sulla Germania postbellica, spostando la lancetta dell'orologio dai primi anni ‘80 al 1945. Confrontandosi qui con il tema dell'Olocausto, il regista tedesco costruisce un melodramma alla Fassbinder (cui Petzold già aveva guardato, ad esempio per Jerichow) dall'impianto simbolico potente. Un oggetto affascinante, frutto dell'ultima collaborazione con Harun Farocki, grande documentarista, insegnante e sceneggiatore scomparso nel luglio scorso. La Germania sconfitta, appena uscita dalla guerra, è un corpo perduto come quello di Nelly, una replica mistificata di se stessa, un riflesso dove il ritorno è un falso movimento, un gioco di rimandi che mette in scena il dramma di un popolo costretto a nascondere la propria identità con un cambiamento fisiognomico. Tutti, vittime e carnefici, cercano un nuovo inizio. Solo Nelly vuol tornare ad essere "quella di prima", aggrappata a quei ricordi che le hanno consentito di rimanere in vita nell'incubo dei lager, solo lei non cerca di far piazza pulita delle macerie e dei ricordi. Speak Slow, la canzone delle illusioni svanite di Kurt Weill, è quasi un leitmotiv che percorre il film dall'inizio alla fine come un presagio: “We're late, darling, we're late / The curtain descends, everything ends too soon, too soon / I wait, darling, I wait / Will you speak low to me, speak love to me and soon / Time is so old and love so brief / Love is pure gold and time a thief / We're late, darling, we're late”. 

Rubrica

Il film è liberamente ispirato sia al romanzo Le ceneri della defunta di Hubert Monteilhet che al testo Un esperimento d'amore di Alexander Kluge.

«Primo giorno di riprese: un bosco di betulle, un soldato della Wehrmacht, alcune donne con la divisa del campo di concentramento. Il nostro punto di riferimento era una fotografia che ci era stata fornita dalla Shoah Foundation: l’immagine sgranata e a colori di un incrocio nella foresta, nella luce a chiazze del mattino. E, guardando meglio, la morte: un cadavere nell’erba. Durante le riprese, ci siamo subito accorti che qualcosa non andava: la luce era buona, l’inquadratura anche, eppure la scena non funzionava. La ricostruzione dell’orrore, la rappresentazione di Auschwitz, dentro e fuori dal campo, apparivano finte, forzate. Sembrava quasi che stessimo dicendo: “È arrivato il momento. Ora condenseremo quell’orrore in una storia e gli daremo un ordine e un senso”. Abbiamo preso tutto il girato di quel giorno e l’abbiamo buttato via. Lo storico Raul Hilberg ha scritto che il terrore seminato dai nazisti e dalla massa obbediente impiegava tecniche già note. La novità erano i campi di sterminio: l’eliminazione su scala industriale di esseri umani. Per le vecchie tecniche c’erano canzoni, storie, letteratura… Per l’olocausto non esisteva niente di tutto questo. Uno dei testi che ci hanno più influenzato durante la preparazione del film è stato Ein Liebesversuch (Un esperimento d’amore) di Alexander Kluge. La vicenda è ambientata ad Auschwitz. Alcuni nazisti guardano attraverso uno spioncino dentro una stanza chiusa. Stanno osservando una coppia di ebrei che, come risulta dai loro archivi, un tempo erano follemente innamorati. Vogliono che la coppia faccia l’amore. Lo scopo è quello di stabilire se la donna è stata sterilizzata con successo. Provano di tutto: champagne, luci soffuse, acqua gelata spruzzata addosso nella speranza che il freddo induca i due a cercare un po’ di calore e a riavvicinarsi. Ma non succede niente. In un certo senso, il fallimento dei medici nazisti è una vittoria dell’amore: un amore perduto che non accetta di farsi comandare da quei criminali. È un testo che ci ha colpito profondamente. Ci siamo chiesti: è possibile fare un balzo indietro nel tempo al di là del baratro nichilista scavato dal nazionalsocialismo, e ricostruire cose come l’amore, la compassione, le emozioni, l’empatia, la vita? Nelly non accetta l’idea che le storie, le canzoni, le poesie e perfino l’amore non siano più possibili. Vuole riportare indietro il tempo. Mi interessano le persone che si rifiutano di accettare qualcosa, e che per farlo vanno dritte per la loro strada armate di coraggio e determinazione». (Christian Petzold)

tratto da www.cineblog.it 

 

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